"Vexilla regis prodeunt, Fulget Crucis mysterium, quo carne carnis conditor suspensus est patibulo"
Venanzio Fortunato
Edificata per custodire le reliquie della Vera Croce, già chiesa conventuale dei padri celestini, la Basilica è senza dubbio l'esempio più sbalorditivo di barocco leccese. Fu eretta a partire dal 1549 su disegno di Gabriele Ricciardi, ma i lavori proseguirono per circa un secolo, come testimoniato da un cartiglio posto a lato del rosone centrale recante la data del 1646. Alla sua edificazione contribuirono i migliori architetti della Lecce rinascimentale. Il Ricciardi ne ultimò l'ordine inferiore nel 1582, mentre a partire dal 1606 sotto la direzione di Giuseppe Zimbalo detto Zingarello si procedette alla realizzazione della facciata. L'ordine superiore con le sue elaborate decorazioni, è opera di Cesare Penna. L'edificio ha un impianto basilicale e risente sia la tradizione romanico-pugliese sia quella spagnola nelle eleganti elaborazioni plastiche. Nella parte superiore della sfarzosa facciata barocca spicca la balconata sorretta da tredici grotteschi telamoni che raffigurano alternativamente animali simbolici e figure umane. E' riconoscibile un guerriero ottomano genuflesso, probabile richiamo alla vittoriosa Battaglia di Lepanto del 1571, mentre tra le creature animali spiccano la lupa capitolina, immagine dell'eredità romana, il leone, simbolo di regalità e il drago pontificio. Ai lati dell'ampio rosone di chiara ispirazione romanica, in due nicchie sono collocate le statue di San Benedetto da Norcia e di San Pietro Celestino, l'umile frate eremita Pietro da Morrone, inaspettatamente eletto pontefice nell'agosto del 1294 con il nome di Celestino V e protagonista del "gran rifiuto" nel dicembre dello stesso anno. A lui si deve la fondazione della congregazione monastica dei celestini, soggetta alla regola benedettina. La complessità delle decorazioni e le innumerevoli figure allegoriche presenti nella facciata rappresentano un'insieme di difficile interpretazione. Tra rigogliosi motivi floreali che, più che scolpiti, sembrano letteralmente ricamati nella tenera pietra leccese, vi sono, draghi, sirene a due code, tritoni ed innumerevoli altri elementi mitologici raffigurati con impressionante realismo. Non mancano inoltre simbolismi in seguito fatti propri dalla Massoneria, si notino infatti i putti con squadre e compassi idealmente intenti a costruire la Basilica. Quale messaggio criptico è contenuto in questa sbalorditiva opera? Ci troviamo forse di fronte ad un intricato percorso esoterico-alchemico comprensibile solo a pochi iniziati? Nel suo saggio "Santa Croce Celestiniana. Il Segreto Tramandato" la ricercatrice salentina Maria Grazia Giorgino propone un'affascinante ipotesi, ossia che i segreti dell'Arte Muratoria, gelosamente custoditi dalle corporazioni iniziatiche medievali, possano essere stati tramandati agli architetti rinascimentali. Architetti quindi iniziati ad una conoscenza esoterica della sacra arte della costruzione. Un sapere arcano che ha permesso di edificare mirabili cattedrali seguendo precisi canoni di geometria sacra e di orientamento astronomico, ricreando una sorta di paradiso perduto ristabilendo un contatto tra Terra e Cielo, tra umano e divino. Un aspetto non secondario, sempre secondo l'autrice del saggio, è il possibile legame tra i Cavalieri Templari e la congregazione celestiniana. In essa molti appartenenti all'Ordine del Tempio pare trovarono sicuro rifugio, tramandando forse le loro leggendarie conoscenze esoteriche ispiratrici delle Gilde Muratorie. Una cosa è certa, un'interpretazione esaustiva del misterioso e complesso simbolismo della Basilica è ancora da svelare. Rimane il fatto indiscutibile che Santa Croce rappresenta uno dei più straordinari esempi di architettura barocca del nostro paese. Una prima idea di edificare una chiesa monumentale che custodisse le sacre reliquie della Vera Croce fu di Gualtieri VI di Brienne, che diede iniziò ai lavori nel 1353 nell'area attualmente occupata dal Castello Carlo V. I lavori vennero successivamente interrotti a seguito della sua morte e ripresi due secoli dopo su commissione dei padri celestini. Convento e basilica vennero costruiti in prossimità della Porta San Martino, sui terreni e le abitazioni un tempo appartenuti alla comunità ebraica leccese, scacciata dalla città per volere di Ferdinando il Cattolico nel 1510. Il portale centrale è sormontato dagli stemmi di Filippo III di Spagna, Maria d'Enghien e Gualtieri VI di Brienne, mentre sopra i portali laterali campeggiano gli emblemi dei celestini. La balconata è sorretta da tredici telamoni che raffigurano alternativamente figure umane e zoomorfe di carattere allegorico. Altrettanti giocosi puttini sono posti sulla balaustra, due di essi sorreggono una tiara e una corona, chiare allusioni al potere temporale e spirituale della Chiesa. Tra i telamoni di aspetto umano è riconoscibile un guerriero ottomano genuflesso, simbolicamente inteso come sconfitto e costretto a sorreggere sulle spalle il trionfo della cristianità (probabile richiamo alla vittoriosa Battaglia di Lepanto del 1571), mentre tra le creature animali troviamo la lupa capitolina, immagine dell'eredità romana, il leone, simbolo di regalità e il drago pontificio. Il rosone è attorniato da una sequenza di dodici cherubini a cui fa seguito una corona di ventiquattro melograni, simboleggianti prosperità ed infine una cerchia di ventiquattro serafini. Una visione del Paradiso nel quale il rosone rappresenta la centralità del Dio celeste. Ai lati le nicchie con le statue di San Benedetto e San Pietro Celestino ed alle estremità della struttura le statue che rappresentano la Sapienza e la Carità. Nel fastigio superiore vi è la raffigurazione della Croce trionfante, ornata di gigli e ricami floreali. L'ultima immagine è il ritratto realizzato da Niccolò di Tommaso nella seconda metà del XIV secolo di papa Celestino V in trono. L'umile frate eremita Pietro Angelerio da Morrone fu inaspettatamente eletto pontefice nell'agosto del 1294 e protagonista del "gran rifiuto" nel dicembre del medesimo anno. Ormai anziano e stanco, Pietro, noto per la sua integrità morale e oggetto di venerazione soprattutto tra gli umili, non fu in grado di reggere l'enorme peso della responsabilità che la carica di pontefice gli imponeva. Poco istruito e completamente estraneo alle insidie e agli intrighi della curia romana, si vide costretto a rinunciare al trono papale aprendo di fatto la strada all'elezione del controverso Bonifacio VIII. A lui si deve la fondazione della congregazione monastica dei celestini, soggetta alla regola benedettina. Le sue spoglie riposano nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L'Aquila, da lui fondata nel 1288, dove fu incoronato pontefice. La ricercatrice salentina Maria Grazia Giorgino traccia un parallelismo tra questo mirabile edifico e la Basilica leccese di Santa Croce. Medesima la matrice celestiniana e analoghi i simbolismi. Una riprova forse dell'eredità del sapere delle Gilde Muratorie medievali, sovente ispirate alle conoscenze architettoniche templari, nel Rinascimento. Pare che tra celestiniani e cavalieri del Tempio i rapporti furono strettissimi, al punto che a seguito dello scioglimento dell'Ordine nel 1312, con le conseguenti persecuzioni, molti templari trovarono sicuro rifugio tra le file della congregazione celestiniana. Difficile stabilire un rapporto diretto tra l'Ordine Templare e il papa eremita. E' certo che durante il lunghissimo e faticoso viaggio alla volta di Lione nel 1274, per incontrare papa Gregorio X durante il Concilio, il futuro Celestino V venne ospitato in una magione templare successivamente diventata convento celestiniano. Pare inoltre che durante il suo breve pontificato i cavalieri godettero del suo appoggio e della sua benevolenza. Dopo la rinuncia al trono papale Pietro Angelerio divenne a tutti gli effetti ostaggio di Bonifacio VIII che lo fece rinchiudere nella Rocca di Fumone dove l'ottuagenario ex pontefice trovò la morte nel 1296. Con molta probabilità papa Celestino V è il misterioso personaggio evocato da Dante nel III canto dell'Inferno, dove il poeta descrive l'incontro con la prima schiera di dannati: i pusillanimi. Il papa eremita verrà canonizzato il 5 maggio 1313 da papa Clemente V.
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