"Unguento, unguento, mandame a la noce de Benevento, supra acqua et supra ad vento, et supra ad omne maltempo".
(Dal verbale del processo per stregoneria a carico di Matteuccia da Todi)
Matteuccia di Francesco, meglio conosciuta come Matteuccia da Todi, nacque nel piccolo borgo di Ripabianca, facente parte dell'antico distretto di Todi, nel lontano 1388. Donna dal carattere forte e indipendente, era da tutti conosciuta come "Domina Herbarum" ossia profonda conoscitrice delle proprietà delle erbe. La sua capacità di utilizzarle per produrre infusi e unguenti ritenuti miracolosi nel lenire le sofferenze del corpo e dell'anima la rese nello stesso tempo temuta e rispettata, tanto che a lei si rivolgevano persone provenienti da tutta l'Umbria. Tra i suoi frequentatori pare ci fosse anche Andrea Fortebraccio detto Braccio da Montone, impavido condottiero e signore di molte terre d'Umbria. Ma questa amicizia le fu probabilmente fatale, vista la forte avversione di papa Martino V nei confronti dell'uomo d'arme. A seguito di dicerie e malelingue, che all'epoca rappresentavano di per sé un serio capo d'accusa, la donna venne trascinata di fronte al tribunale laico di Todi, presieduto dal capitano della città Lorenzo de Surdis coadiuvato da Tommaso di Castiglione Retino, esperto di diritto e giudice in materia di malefici. Matteuccia si vide accusata "per pubblica fama" di essere una donna di cattiva condotta e reputazione, pubblica incantatrice, fattucchiera, strega e maliarda. L'interminabile processo iniziato nel 1426, nel quale vennero ascoltati numerosi testimoni ritenuti assolutamente attendibili, si concluse inevitabilmente con la condanna al rogo della povera sventurata. Persino San Bernardino da Siena, che all'epoca dei fatti predicava in Umbria, la additò pubblicamente come peccatrice e femmina pericolosa per la comunità. Senza alcuna possibilità di difesa Matteuccia venne incolpata di compiere malefici e macabri rituali, di aver utilizzato le carni di un morto annegato per produrre un unguento, che potesse curare un malato, servendosi della complicità di un servitore di Braccio. Subì l'accusa infamante di aver bevuto il sangue di molti bambini e, in combutta con il maligno, di avere la capacità di tramutarsi in mosca così da volare di paese in paese diffondendo ogni sorta di maleficio. Dai verbali del processo, tutt'oggi conservati nell'archivio storico della biblioteca comunale di Todi, risulta inoltre l'accusa nei confronti della sventurata di essersi più volte recata presso un noce a Benevento, volando su di un caprone, per radunarsi con altre streghe ed unirsi carnalmente con il demonio. Rea confessa, evidentemente a seguito di torture, Matteuccia venne perciò condannata alla morte sul rogo. Il 20 marzo 1428 la donna percorse le vie di Todi, in groppa a un asino e con una mitria in testa, nel mezzo di una folla che la umiliava e la scherniva. Raggiunta piazza del Montarone, a pochi passi dall'attuale piazza del Popolo, Matteuccia venne immolata sulle fiamme. Il suo fu uno dei primi processi per stregoneria documentati in Europa e il primo regolarmente svoltosi nel nostro paese.
In copertina "Il cerchio magico" di Joh William Waterhouse, 1886
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