La leggenda di re Artù nel Duomo di Modena
- Percorsinellignoto
- 18 mar 2020
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"le donne e ' cavalier, li affanni e li agi che ne 'nvogliava amore e cortesia là dove i cuor son fatti sì malvagi."
Dante Alighieri (Purgatorio XIV 109-111)
Il portale conosciuto come "Porta della Pescheria" o delle "Beccherie", era anticamente riservato all'ingresso del popolo nella cattedrale modenese. Deve il nome ad un banco di vendita di pesce che un tempo si trovava nelle sue vicinanze. Collocata sul lato sinistro del Duomo, rivolto a settentrione, la porta si affaccia infatti su di uno spiazzo dove nei secoli scorsi si svolgeva il mercato cittadino. E' costituita da due stipiti sormontati da un architrave e un archivolto tra loro incongruenti, evidentemente per effetto di un posizionamento dei medesimi in epoca differente. Di grandissimo interesse è indubbiamente l'archivolto, per la presenza di una scena ispirata alla narrativa del ciclo bretone che vede protagonista il leggendario re Artù. Viene descritto l'assalto, da parte di sei impavidi cavalieri in arme, ad un castello fortificato e circondato dalle acque, nel quale il malvagio MARDOC (forse riferibile a Meleagant o Meriadoc) tiene prigioniera una donna di nome WINLOGEE (in gaelico arcaico "anima bianca" versione antica di Ginevra). Tra i cavalieri viene chiaramente citato nell'iscrizione posta nella cornice della parte superiore del'archivolto, ARTUS DE BRETANIA, ovvero il condottiero britannico latinizzato Artorius, personaggio storico vissuto nel VI secolo, che verosimilmente ha ispirato il mito di re Artù. Quest'ultimo è l'unico ad essere raffigurato a volto scoperto, ha la barba e la testa rivolta al cavaliere che precede. Tutti gli armati al suo seguito hanno nomi riconducibili ai protagonisti della saga arturiana, BURMALTUS è la probabile deformazione del nome Durmart, GALVARIUN è Galleron, ISDERNUS è Yvain, GALVAGIN è Galvano (forse nipote di Artù, era il cavaliere più valoroso e leale, la cui forza era legata al sole), CHE è Kay. La difesa del castello è affidata a due misteriosi personaggi, un villico armato di piccone e CARRADO (forse dal francese Caradoc) un cavaliere armato, descritti come giganti nel racconto anonimo "Durmat le Galoise", risalente al XIII secolo, ossia successivo di oltre un secolo rispetto alla datazione dell'archivolto che risalirebbe all'inizio del XII. I bassorilievi risulterebbero pertanto antecedenti alla pubblicazione della "Historia Regum Britanniae" di Goffredo di Monmouth (1136-1138), dove Artù viene viceversa celebrato come re dei britanni. Una evidente dimostrazione di quanto il mito arturiano, grazie ai trovatori provenienti dal nord, si diffuse in Europa molto prima della sua celebrazione letteraria consacratasi con il trattato di Goffredo di Monmouth prima e i racconti cavallereschi di Chrétien de Troyes successivamente. Di non minore interesse i bassorilievi presenti nell'architrave. Sono da intendersi come allegorie di intento morale. Nel primo riquadro è raffigurata una Nereide che cavalca un ippocampo (immagine spesso presente nei sarcofagi di epoca classica), nel secondo il "Funerale della volpe" (rappresentazione di una novella medievale a sfondo etico che vuole mettere in guardia dalle insidie e dalle falsità di chi finge di essersi redento dal peccato), al centro un "Nodo" o "Fiore dell'Apocalisse" inscritto in un motivo ad intreccio di ispirazione celtico germanica, nel terzo riquadro due ibis affrontano una serpe, nel quarto ed ultimo riquadro viene descritto il "Racconto del lupo e della gru" (altra favola a sfondo morale nella quale il lupo, simbolo dei peccatori, approfitta in maniera malevola della generosità della gru, simboleggiante la rettitudine, che gli estrae un osso bloccatosi nella gola). Sugli stipiti sono scolpiti complessi motivi floreali nei quali compaiono numerose creature fantastiche ed allegoriche tratte dai bestiari medievali. All'interno sono raffigurati i dodici mesi, ognuno dei quali è simboleggiato da un contadino alle prese con le principali attività quotidiane di quel determinato periodo dell'anno.
In copertina "L'investitura" di Edmund Blair Leighton, 1901
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