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La Basilica di Sant'Andrea e il rogo di fra Dolcino, Vercelli

  • Percorsinellignoto
  • 24 dic 2019
  • Tempo di lettura: 2 min

Aggiornamento: 15 feb 2020


"Or dì a fra Dolcin dunque che s'armi, tu che forse vedra' il sole in breve, s'ello non vuol qui tosto seguitarmi, sì di vivanda, che stretta di neve non rechi la vittoria al Noarese, ch'altrimenti acquistar non saria leve."

Dante Alighieri (Inferno XXVIII 55-60)


Davide Tornielli, meglio conosciuto come fra Dolcino o Dolcino da Novara, era nato probabilmente a Prato Sesia, nel novarese, in data imprecisata tra il 1250 ed il 1260. Fu un fervente seguace del parmense Gerardo Segarelli, fondatore della setta cristiana millenarista degli Apostolici, che aveva come ideali la povertà, la comunanza dei beni, la parità tra uomo e donna e una spiritualità diretta nei confronti di Dio senza la necessità di un apparato clericale. Lo scontro con le gerarchie ecclesiastiche, ritenute dagli Apostolici opulente e corrotte fu inevitabile. La risposta della Chiesa si dimostrò implacabile e Segarelli fu condannato al rogo per eresia nel luglio del 1300. Fra Dolcino ne raccolse l'eredità ed in breve divenne la nuova guida degli Apostolici. La setta diventò sempre più numerosa grazie all'instancabile opera di proselitismo che fra Dolcino compì nell'Italia settentrionale, in particolar modo in Lombardia, Trentino ed Emilia, anche grazie all'appoggio, o quantomeno alla benevolenza, di Matteo I Visconti. Il pericolo di persecuzioni da parte della Chiesa cattolica costringeva però la comunità dei dolciniani alla clandestinità. Nel 1304 gli eretici decisero di ritirasi nella Val Sesia, dove sognarono di realizzare una società rigorosamente aderente al cristianesimo delle origini e alle visioni messianiche di Dolcino. Questo però attirò ben presto le ire del potere ecclesiastico locale tanto che il vescovo di Vercelli Raniero degli Avogadro convinse il pontefice, papa Clemente V, ad indire una crociata contro fra Dolcino. Nel 1306, ottenuta l'autorizzazione papale, le armate vescovili, rafforzate da truppe provenienti da Novara e da balestrieri inviati da Genova, iniziarono a braccare i dolciniani. Questi risposero con le armi ma furono via via costretti a ritirarsi sulle impervie montagne novaresi. Per sopravvivere dovettero compiere delle razzie che però gli inimicarono i valligiani che, almeno inizialmente, avevano familiarizzato con loro. Sempre più incalzati dagli avversari i dolciniani superarono un inverno rigidissimo, ma nel marzo del 1307, stremati dal freddo e dalla fame furono costretti alla resa. Fra Dolcino, Margherita Boninsegna da Trento, sua inseparabile compagna, e Longino Cattaneo da Bergamo, fidato luogotenente, vennero catturati vivi e consegnati al tribunale ecclesiastico. Nel giugno del 1307 Margherita e Longino, rifiutatisi di abiurare la propria fede, vennero arsi su colonne issate presso la riva del torrente Cervo, vicino a Biella. Dolcino finì sul rogo a Vercelli dopo indicibili torture, il primo giugno dello stesso anno. Lo sventurato venne infatti caricato su di un carro che attraversò le vie della città e durante il tragitto, come tremendo monito per la popolazione, venne più volte mutilato nelle carni con tenaglie roventi, evirato ed alla fine arso molto probabilmente nelle immediate vicinanze della Basilica di Sant'Andrea e le sue ceneri disperse nel fiume Sesia.

 
 
 

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