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Giovanna II e Ferrante I, orrori e misteri nei sotterranei del Maschio Angioino, Napoli


"Da questa bocca dell'abisso, dice la lugubre leggenda, uscendo dal vasto mare, appariva un tempo, l'immondo rettile, che ha dato il suo nome a quella fossa"

Alexandre Dumas

Superbo e maestoso, il Castel Nuovo, meglio conosciuto come Maschio Angioino, fu fatto erigere da Carlo I d'Angiò nel 1266, per celebrare il trasferimento della capitale del Regno di Sicilia da Palermo a Napoli in seguito alla sconfitta della dinastia sveva. Con le antiche roccaforti di Castel Capuano e Castel dell'Ovo, costituì il sistema difensivo della città partenopea. Nel corso dei secoli la fortezza subì innumerevoli modifiche e ampliamenti raggiungendo il suo massimo splendore sotto il regno di Alfonso V d'Aragona' detto il Magnanimo che, nel XV secolo, ne rinforzò le mura, ricostruì le imponenti torri e fece edificare lo sbalorditivo Arco di Trionfo che con grande sfarzo architettonico ne celebrava l'ingresso nella capitale partenopea come nuovo sovrano. Il Maschio Angioino, pur mantenendo un carattere di roccaforte difensiva, divenne soprattutto una sontuosa corte nobiliare al cui abbellimento contribuirono i più grandi artisti, primo fra tutti Giotto che affrescò la splendida Cappella Palatina. Il castello, che notoriamente è uno dei simboli di Napoli, cela però da sempre lugubri leggende legate ai suoi bui e angusti sotterranei. In essi vi erano infatti due sale adibite a prigioni, la "sala del miglio" e la "sala dei Baroni". Della prima, precedentemente utilizzata come granaio, si narra che gli sventurati reclusi scomparivano misteriosamente senza lasciare alcuna traccia. Ben presto si scoprì che da una fessura si infiltrava all'interno un enorme coccodrillo che trascinava con sé i malcapitati in mare aperto per cibarsene. Secondo antichi racconti, per agevolare l'opera del mostruoso rettile nell'eliminazione di prigionieri particolarmente scomodi, fu scavata una fossa nel pavimento collegata direttamente al mare. La leggenda vuole che il coccodrillo fu importato dall'Egitto da Giovanna II d'Angiò, regina di Napoli dal 1414 al 1435, ultima rappresentante della dinastia angioina. La donna, bella e seducente ma tradizionalmente ritenuta una sovrana sanguinaria e lussuriosa, se ne sarebbe servita per sbarazzarsi dei numerosi amanti che, tramite una botola, venivano segretamente gettati in pasto all'enorme rettile. La "sala dei Baroni" è viceversa legata ad un clamoroso fatto di sangue che vide come protagonista re Ferdinando Ferrante I d'Aragona (1423-1494). In essa infatti vennero gettati i cadaveri dei nobili implicati nella cosiddetta congiura dei Baroni, fatti arrestare a tradimento dal sovrano nella sontuosa Sala del Trono e successivamente messi a morte nel 1487. Sempre secondo una narrazione leggendaria la fossa del coccodrillo fu voluta proprio da Ferrante che se ne servì per far sparire i corpi dei giustiziati. Successivamente per disfarsi dell'animale il sovrano lo fece uccidere dandogli in pasto una coscia di cavallo come esca. La carcassa del rettile fu quindi impagliata ed esposta come trofeo all'interno del Maschio Angioino. L'esposizione dell'enorme predatore fino al 1875 è confermata da Benedetto Croce nelle sue "Storie e leggende napoletane".


In copertina "Lady Macbeth" di John Singer Sargent, 1889

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